I Giovani e la psicoterapia: il narcisismo e il Sé

Pubblicato il 7 marzo 2017 in Psicoanalisi, Psicoterapia
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Everything is a landscape (or not) 1“, Grant Wiggins 2014.

Non esiste un momento per iniziare un percorso di psicoterapia, esiste il momento. È tautologico: quando si sceglie di iniziare il proprio percorso di analisi è quello il momento giusto. 

 Le motivazioni che portano a chiedere un aiuto psicologico sono molteplici, molto spesso si arriva ad un colloquio con uno psicoterapeuta sulla spinta di una motivazione esplicita caratterizzata da una forte sintomatologia, in genere un disturbo d’ansia, attacchi di panico, stati depressivi, fobie, crisi relazionali.

Durante il percorso terapeutico tale sintomatologia, in un periodo di tempo relativamente breve, tende ad attenuarsi, in alcuni casi a sparire, consentendo l’emergere di motivazioni implicite; in altre parole avviene una trasformazione da una domanda di tipo medico a una domanda di tipo esistenziale. 

Questo secondo aspetto ritengo sia il nucleo centrale dell’analisi, poiché consente di comprendere in profondità i bisogni, le insoddisfazioni e i desideri, i conflitti, le capacità e le ambizioni: il proprio Sé. 

Molti ragazzi giovani e giovanissimi, intendo adolescenti, appena maggiorenni e fino ai 25 – 26 anni, spesso ritengono di non aver bisogno di un aiuto psicologico, proprio in virtù della loro giovane età. Qualcuno non si sente nemmeno “in diritto” di chiedere aiuto, come se i propri disagi, le proprie difficoltà non fossero poi così gravi, come se fossero “normali” problemi di crescita.

Sono estremamente convinto che dal punto di vista psicologico non esista una graduatoria del dolore, la sofferenza psichica è sempre un’interazione tra un evento esterno e una mente che deve elaborarlo, tra l’ambiente e un’organizzazione psichica unica con i propri punti di forza e le proprie fragilità. Ovviamente esistono eventi “oggettivamente” di natura più traumatica e distruttiva di altri, come nel caso dei lutti e degli abusi, ed esistono strutture di personalità più fragili, come le psicosi e i disturbi gravi della personalità con funzionamento borderline. Ma la soggettività rimane sempre l’unica oggettività in ambito clinico: qualcuno riesce a superare e “sopravvivere” alla perdita traumatica di un figlio, qualcun altro può perdere il lavoro, fallire un esame e cadere in uno stato di profonda depressione e prostrazione, finanche a tentare il suicidio. 

Generalmente la sofferenza psicologica dei giovani è  caratterizzata per lo più dal senso di vuoto, dalla mancanza di identità, dalle insicurezze e dall’angoscia diffusa che può manifestarsi con attacchi di panico, stati dissociativi, abuso di alcol o droghe, sessualizzazioni, o stati depressivi di ritiro, apatia, noia e tristezza. 

Lo psicanalista Eriksson aveva individuato in tale crisi, specifica per questa epoca di vita, il terreno fertile per la costruzione dell’identità e del senso di intimità con se stessi e con gli altri, intimità sessuale e relazionale.

I giovani che vivono il nostro tempo devono declinare tale compito evolutivo all’interno di un contesto socio-culturale nuovo, caratterizzato nello specifico da una messa in crisi del senso di comunità in favore del soggettivismo – Umberto Eco – dalla società liquida – Bauman – che sembra essere l’evoluzione della cultura del narcisismo di cui parlava Lash negli anni ’70: il cielo è vuoto sopra l’uomo, svuotato degli dei, del sacro, del trascendente, il “crepuscolo degli idoli “come direbbe Nietzsche, l’assenza di valori, ideali e riferimenti morali, etici e culturali.

Ci si sente terribilmente soli e persi… Però, paradossalmente, è proprio questo vuoto che per Nietzsche crea i presupposti per la nascita del superuomo – traduzione infelice di “oltre uomo”, che supera e trascende lo stato attuale della condizione umana. La possibilità di autodeterminarsi favorisce l’espressione creativa, responsabile, autentica, innovativa, unica del Sè. Ciò, però, richiede  responsabilità, consapevolezza, saggezza, libertà, e la libertà è sempre un pericolo, un rischio. Se non si riescono a creare tali presupposti si rimane invischiati in uno stadio narcisistico infantile, autoreferenziale, in cui la gratificazione delle proprie pulsioni diventa l’unico valore e ideale di riferimento, e l’antidoto alla frammentazione del Sè e all’angoscia di morte.

I ragazzi sono chiamati a confrontarsi con questo conflitto, con questo compito esistenziale complesso e per certi versi nuovo!

La mia esperienza clinica di psicoanalista con giovani pazienti – e prima ancora come giovane paziente io stesso – mi ha permesso di comprendere come l’analisi possa essere, anche in assenza di sintomi clinici gravi, uno spazio importante di evoluzione e ampliamento. 

La psiche a 20 anni ha energie dinamiche e risorse che possono aumentare la consapevolezza di sé, la conoscenza del proprio funzionamento, la scoperta e la costruzione dei propri valori, la gestione delle proprie difficoltà, dei conflitti, delle paure, delle ambizioni narcisistiche, dei propri talenti.

Un’analisi “precoce”, dunque, consente l’individuazione, la liberazione e l’espressione creativa del proprio Sé, di scegliere con consapevolezza e autonomia il proprio futuro

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